domenica 19 aprile 2020

CORONAVIRUS - MORIRE ASPETTANDO I TEST...

Fonte- IL FATTO QUOTIDIANO 20 Aprile 2020

Morire aspettando i test “Alcuni medici consigliano ai malati: simulate i sintomi”




CARA SELVAGGIA, vi scrivo con un profondo sconforto per una situazione sanitaria drammatica che, indubbiamente, accomuna me e i miei cari a moltissimi altri italiani. Una condizione inaccettabile, in uno Stato come il nostro che dovrebbe difendere la salute delle persone.
Le sfortune sono iniziate quando il padre del mio fidanzato, Andrea, si è ammalato ed è stato operato d’urgenza alla vigilia di Natale. Da allora le sue condizioni di salute hanno subito alti e bassi che lo hanno costretto ad entrare e uscire da ospedali e case di cura. Fino all’esplosione del Covid-19 nel nostro Paese. Il 5 marzo alle 23:30 circa siamo stati contattati da un medico dell’ospedale Molinette di Torino: avevano appena scoperto che il vicino di letto di Andrea (il papà del mio ragazzo) era positivo al Covid-19. La storia è finita sui giornali, poiché quest’uomo (con la moglie) non avevano comunicato ai medici di aver avuto contatti con persone positive. Qui inizia la nostra prima quarantena: mia, del mio fidanzato Davide e di suo padre Andrea. Noi due a casa e Andrea in ospedale alle Molinette.
Ad Andrea intanto vengono fatti due tamponi, negativi, e i medici delle Molinette decidono di mandarlo a casa. I dottori quindi organizzano il trasferimento di Andrea a casa, a Vinovo, senza interpellare il figlio, anch’egli in quarantena. Lui viene informato dal padre, solo a cosa fatta. I medici avevano lasciato che Andrea tornasse a casa da solo, in taxi, contravvenendo a tutte le regole sulla quarantena e mettendo a rischio il tassista e i suoi clienti. Aloro dire Andrea andava dimesso e noi non potevamo andare a prenderlo perché eravamo in quarantena. Andrea è arrivato a casa sua il 18 marzo, giorno in cui si è ricongiunto a sua moglie Anna, malata di depressione da quasi 20 anni: tempo trascorso chiusa in casa, col marito e la sua badante Rosy. Da quando Andrea è tornato a casa dall’ospedale, più volte Davide è dovuto andare a trovarli sia per portare la spesa e le medicine sia per assisterli durante i giorni liberi della badante. Il 21 di marzo sua madre Anna ha iniziato a stare male.
Il giorno successivo i sanitari dell’ambulanza che Davide aveva chiamato l’hanno visitata e ne hanno consigliato il ricovero. Ma Anna, malata di depressione, ha rifiutato categoricamente di andare in ospedale; i sanitari si sono detti con le mani legate, poiché non abilitati ad effettuare il Tso. Il giorno seguente Davide torna a casa con me ad Asti, sua madre Anna però peggiora e chiamiamo nuovamente un’ambulanza. Questa volta Anna è così debilitata e spaventata da essere pronta a lasciare la sua casa per farsi curare. È già pronta con le valigie quando viene visitata dal medico che si presenta in casa. La dottoressa afferma che Anna non ha nessun problema ai polmoni, e che secondo lei non è infetta. Anna non viene quindi ricoverata. La notte tra venerdì 3 aprile e sabato 4 aprile le condizioni di Anna peggiorano ulteriormente e inizia ad avere grossi problemi respiratori, tanto da iniziare a rantolare. Chiamiamo immediatamente l’ambulanza e Anna viene finalmente ricoverata. Positiva. Anna è morta domenica 5 aprile. Il figlio Davide non l’ha potuta vedere. Domenica 5 aprile ha inizio la nostra seconda quarantena, questa volta siamo quattro: oltre a Davide, Andrea e me, c’è anche Rosy, la badante.
La domanda ora a cui è imperativo dare una risposta è: chi ha infettato Anna? Anna non esce di casa da vent’anni per cui gli indiziati sono suo marito, la badante e il figlio Davide. Solo che qui né Davide né la badante hanno fatto il tampone e rischiano di infettare Andrea, che se si ammalasse forse non sopravviverebbe. L’Asl di Nichelino, intanto, ha contattato la badante e Andrea solo una volta, mentre l’Asl di Asti ha sentito un paio di volte Davide. Davide ha iniziato a richiedere tamponi a chiunque fosse in grado di contattare, ma la risposta è sempre stata la stessa: no. In mancanza di seri sintomi non c’è nessuna possibilità di ricevere un tampone. Medici e infermieri amici hanno iniziato a consigliarci di fingere i sintomi, di mentire con lo scopo di entrare nella lista di coloro che possono accedere al test, ma che non hanno comunque la certezza di ottenerlo. È possibile che sia necessario mentire per poter difendere la salute del proprio padre? È possibile che sia necessario arrivare a un punto di non ritorno, come è successo ad Anna, prima di agire? È normale essere messi in una situazione di totale impotenza di fronte alla possibile malattia e la conseguente morte del proprio padre? Le telefonate che possiamo fare sono finite, ecco perché ora le scrivo. Abbiamo bisogno di aiuto e sembrerebbe che non ci siano vie ufficiali per ottenerlo. È necessario che quelle i pochi fortunati risparmiati da questa disgrazia vengano a sapere che cosa significa sentirsi impotenti e abbandonati dalla città, dalla sanità e dallo Stato. Vi ringrazio per qualunque aiuto sarete in grado di darmi.
CARA ALESSIA, in Piemonte, in Lombardia, in Emilia Romagna e in molte altre regioni italiane, il destino di troppi cittadini è stato questo: morire in attesa di un tampone, morire perché i sintomi non erano abbastanza gravi, morire perché non sono stati fatti tamponi a parenti asintomatici, che hanno contagiato le persone più fragili del nucleo familiare. Continuo a pubblicare lettere come questa perché altre narrazioni propagandistiche o falsamente rassicuranti sono inaccettabili. Più delle mancanze stesse.

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