Grande Fratello Vip Quel che resta della vita (irreale)
- Il Fatto Quotidiano
- » ALESSANDRO FERRUCCI @A_Ferrucci
Sono dei reduci, dei disperati, dei dinosauri. Sedotti dalle ultime luci della (presunta) celebrità, e poi via, il Coronavirus ha spostato il (loro) riflettore, all’improvviso sono rimasti nudi davanti a se stessi, sostenuti al massimo da Alfonso Signorini, senza più un pubblico generoso nell’applaudire e sostenere ogni loro stupidaggine.
ED ECCO la differente prospettiva: lo spettacolo del Grande Fratello Vipnon è più un “come siamo”, ma un “come eravamo”: è come se all’improvviso fosse diventato un programma da cineteca, è già dentro un altro contenitore mentale, con i pochi protagonisti ossessionati nell’aggrapparsi alle loro speranze, quando in realtà sono i soggetti più disperati della televisione, e suscitano tenerezza oggettiva. Così guardano i video dei loro cari, tutti chiusi nelle rispettive case, e piangono. Piange Antonio Zequila, detto “er mutanda”, si dispera; piange Fabio Testi, con maggiore compostezza; piange una tizia semi- sconosciuta; piangono a turno tutti per tutto quello che avviene fuori dal loro contesto, ma non escono, ancora credono alla vecchia liturgia dell’importante è esserci, “vi diamo un servizio per distrarvi”.
E allora vanno avanti, con piccole beghe, frasi scomposte, congiuntivi in pensione, accuse surreali, bagni con il sale per scacciare via gli spiriti maligni, amori, amicizie, accuse incrociate. Nullità. E più continuano e più appaiono disperati nella loro essenza. Nella loro missione. Nel loro essere. Nella loro solitudine. Qualcuno ha fatto credere loro di essere in “missione per conto di Dio” ( Blues Brothers dixit), e loro si sono lanciati con tutta la buona volontà; peccato che il Grande Fratello Vip è arrivato, non per scelta, nelle case di ognuno di noi, ognuno fa i conti con una quotidianità divisa e condivisa attraverso i piccoli schermi del cellulare, e l’eliminazione non avviene per via di un voto da casa, ma per un virus. E ALLORA uno pensa a quello che ha dichiarato al Fatto Massimo Popolizio: “La nostra è una professione di rinunce”. Quella dell’artista è una professione di rinunce. E lui si riferiva alla possibilità di una vita privata piena, tonda, come il comune sentire ha individuato nei secoli, mentre l’a r t is t a deve pensare al pubblico, intrattenere, tramandare, decodificare emozioni e riproporle nella loro radice; la famiglia dell’artista è sul breve la compagnia del set, del palco, del riflettore; sul lungo è chi ascolta.
E i protagonisti del Grande Fratello Vip si sentono artisti, a prescindere dal loro valore, si comportano come tali, quindi stanno rinunciando a loro stessi, al normale istinto di stare accanto agli affetti, di capire cosa stia accadendo ai loro affetti; restano lì, e nessuno li reclama, non c’è stata una persona, nemmeno una, che ha detto a Tizio o Caio: “Esci, qui c’è bisogno di te”; o “esci, salvati: la vita è improvvisamente diventata altro”.
Macché.
Vanno avanti, Valeria Marini piange perché dopo mesi ha sentito la mamma al telefono, e le sue unghie spezzate, distrutte, arrese, raccontano di lei più di ogni mezza frase espressa.
E va visto. Il Gf Vip va visto, perché è l’ultima appendice di un mondo che non c’è più, non ci sarà più. E forse domani noi saremo migliori di tutto questo.